Nonostante nell’archivio dell’ex chiesa parrocchiale di Cengio Alto, l’attuale Santuario della Natività di Maria Vergine, esista ancora un inventario dei beni di proprietà parrocchiale datato 1744[1] e nonostante i libri dei conti riportino alcuni dati sulle spese per l’acquisto di paramenti, stoffe e galloni sin dal 1751[2], i parati, attualmente conservati in sacrestia e nel piccolo museo attiguo, non possono essere ricondotti con sicurezza a quelli nominati nei documenti. Solitamente infatti, i registri parrocchiali (e quelli della chiesa di Cengio non fanno eccezione) non descrivevano minuziosamente le stoffe con le quali erano confezionati i paramenti, ma riportavano unicamente il numero dei parati presenti divisi per colori liturgici e, con la generica formula “seta broccata”, erano descritte diverse tipologie di tessuto.
Interessanti notizie emergono comunque dalle brevi note dei libri dei conti, si evince infatti che spesso, dalla seconda metà del Settecento, si acquistavano i paramenti già confezionati a Genova o a Torino[3], ma accadeva, altrettanto sovente, che si comprassero solamente alcuni metri di stoffa per rammendare parati consunti[4] o per confezionare stole e camici[5]. Si scopre inoltre che la Parrocchia acquistava a metraggio i galloni in oro (bordure lisce o smerlate solitamente raffiguranti fiori, tralci di vite o motivi geometrici realizzate in seta o in filati metallici al tombolo o al telaio, utilizzate per coprire le cuciture e gli orli in tutte le vesti liturgiche e in tutti i tessuti per il culto[6]) e che il principale fornitore era la città di Mondovì[7].
Poiché l’acquisto dei paramenti per le parrocchie era solitamente una spesa molto ingente, si apprende dei registri dei conti[8] che la parrocchia nel 1762 vendette un calice e una lunetta di ostensorio in argento per pagare la realizzazione di un piviale realizzato a Genova“1762 20 Xbre: dare al signor Alberto Bagnasco li 2 zechini presi da Bartolomeo Poggio quondam Tommaso per il calice [che] era nella Chiesa e la luneda d’argento, il tudo per comprare il piviale oltre le lire 50 prese di limosina in tempo de spirituali esercizi oltre un uncia e mez’ottavo argento bruciato che in tudo rileva lire Genova 97.14.” Il piviale suddetto era arrivato in Parrocchia alla fine di ottobre dello stesso anno “1762: sul fine di 8bre si è ricevuto il piviale venuto da Genova per comissione al signor Giovanni Alberto Bagnasco assieme ad una continenza, e rileva in tudo come da conto fatto dal sudetto e rimesso a Filippo Bove massaro, Genova. Lire 157.5”
Unica notizia a cui possiamo forse ricondurre un paramento liturgico ancora presente in chiesa riguarda l’acquisto nel 1793 di una pianeta violacea in taffetas proveniente da Genova[9]. In sacrestia infatti è conservata una pianeta, dal taglio ancora Settecentesco, un velo di calice ed un manipolo in taffetas viola cangiante (effetto creato dai fili di trama in seta rosa tessuti insieme ai fili di ordito in seta viola). La pianeta ha subito vari restauri: gli è stato sostituito il gallone in epoca recente, e all’inizio dell’Ottocento, lo stolone (cioè la colonna di tessuto centrale, zona spesso consunta a causa dello sfregamento durante le funzioni contro l’altare) è stato rattoppato con del raso blu ricamato a piccoli e radi mazzetti di semplici fiori bianchi circolari con lunghe foglioline dentellate (motivo tipico di inizio secolo XIX[10]).
Purtroppo non abbiamo notizie d’archivio riguardo ai due paramenti liturgici più interessanti dal punto di vista tessile, possiamo quindi solo dare una lettura tecnica di quello che ancora il tessuto è in grado di svelare.
Paramento verde composto da Pianeta – Velo di calice – Stola
Manifattura: ligure-piemontese
Datazione: metà del XVIII secolo (1740-1750) circa
Materia e tecnica: lampasso fondo cannetillé liseré
Misure: pianeta cm 98 x 67; velo di calice cm 52,5 x 50,5; stola cm 200 x 20
Rapporto del disegno: altezza 39 x larghezza 26.4 cm
Altezza del tessuto: 42.5 cm
Cimosa: altezza 0.7 cm, 21 fili in seta bianchi, gialli e verdi legati in cannellato di due colpi con trame rosa e verdi
Colori: verde, bianco, azzurro in due tonalità, giallo, rosa in due tonalità, arancione
Fodera: blu in tela cerata originale (verde di restauro per il velo di calice)
Gallone: due tipologie in quattro misurazioni, la prima in argento filato e in lamina al telaio con raffigurazioni di tralci fiorati, originale (cm 3,2 e cm 1,8), la seconda in argento filato e in lamina al telaio con raffigurazioni di fiori e foglie serpentine, databile al XIX secolo (cm 3 e cm 1,6).
Sul fondo verde smeraldo mosso dall’effetto cannetillé si stagliano mazzi di grandi peonie rosa e narcisi bianchi, contornati da boccioli, piccoli fiori rosa e arancioni, sovrastati da due varietà di fiori azzurri e da melegrane arancioni. L’intera composizione è arricchita da grandi foglie, in diverse tonalità di verde, leggermente ripiegate. L’andamento del disegno è verticale con una leggera inclinazione obliqua da destra a sinistra e si ripete parallelo in orizzontale per tutta l’altezza del tessuto.
La composizione a grandi fiori naturalistici del nostro parato verde rimanda alla moda in voga nel secondo quarto del XVIII secolo, quando, dopo le grandi composizioni di fiori stilizzati che coinvolgevano tutta l’altezza della stoffa, dopo il motivo “a pizzo” che imitavano l’effetto traforato del merletto e quello “bizarre” che raffigurava elementi fantastici ed esotici su grandi rapporti, affiora l’interesse per la rappresentazione naturalistica, quasi tridimensionale, di fiori ed elementi vegetali. Questa moda era sostenuta anche dalle nuova tecnica al telaio inventata nel 1732-33 da Jean Revel detta “point-rentré” che permetteva di creare, attraverso sfumature cromatiche ottenute facendo rientrate la trama di un colore in quella del colore contiguo, effetti di profondità e grande naturalezza[11]. Anche nel parato di Cengio, sebbene non sia stato tessuto con la raffinatissima tecnica del “poit-rentré”, vi è un’attenzione particolare alla resa naturalistica degli elementi floreali, sia per quanto riguarda i colori e le varie sfumature, sia per quanto riguarda il disegno, che ormai vuole essere specchio della natura raffigurando mazzi fiorati di dimensioni uguali al vero e descrivendo con particolare cura le varie tipologie botaniche. Il tessitore ha seguito un disegno minuzioso che si è soffermato particolarmente sulla riproduzione scrupolosa delle peonie e dei narcisi, dei grappoli di lillà azzurri e delle melegrane, cogliendo anche il movimento delle foglie portato da una leggera brezza mattutina.
Ogni fiore, ogni motivo decorativo non è casuale nelle vesti liturgiche, la peonia, dalla fattura simile alla rosa ma priva di spine, ricorda Maria “rosa senza spine”, la melagrana, metafora di fertilità e moltitudine, è un chiaro richiamo alla Chiesa, mentre il narciso, simbolo di rinascita dopo la morte, rammenta la Resurrezione.
Il modulo del disegno[12] non è più quello gigantesco che occupa tutta l’altezza e che si sviluppa specularmente rispetto all’asse mediano del tessuto, ma il mazzo di fiori, contornato da foglie e chiuso alla sommità da ciuffetti di fiori azzurri, coinvolge circa la metà dell’altezza e, con il suo leggero andamento da sinistra a destra, crea aggraziati risultati di movimento.
Dal punto di vista tecnico, oltre al raffinato effetto del fondo cannetillé[13] che suscita un gioco di riempimento ordinatamente mosso, altro interessane risultato, creato dalla tecnica di tessitura, è l’effetto di tridimensionalità dato ad alcune foglie ottenute per metà dal lampasso[14] giallo e per metà prodotte dal fondo liseré[15] già di colore verde. Altre foglie ancora, quelle che secondo il disegnatore dovevano essere in secondo piano, sono state ottenute sfruttando solamente l’effetto liseré.
Si può quindi affermare che le ricerche tecniche e decorative che contraddistinguono il manufatto, inducono a collocare il tessuto intorno agli anni ’40-‘50 del XVIII secolo, come suggeriscono puntuali confronti con opere coeve[16]. Per quanto riguarda la manifattura, nonostante avvertita e attenta alle innovazioni della moda e della tecnica, non sembra di primissimo livello e si può quindi presupporre che possa essere locale, ligure o piemontese, come gli stessi libri dei conti inducono a ritenere.
Paramento rosa Pianeta – Velo di calice – Stola
Manifattura: ligure-piemontese
Datazione: terzo quarto del XVIII secolo
Materia e tecnica: taffetas a pelo strisciante
Misure: pianeta cm 91 x 64; velo di calice cm 51 x 49; stola cm 173 x 17
Rapporto del disegno: altezza 9.3 x larghezza 6.2 cm
Altezza del tessuto: 47 cm
Cimosa: 0.2 cm 2 fili in seta blu legati in taffetas con trame rosa salmone
Colori: rosa ciclamino, rosa antico, bianco, verde chiaro, azzurro, amaranto
Fodera (pianeta e stola): azzurra in taffetas liseré lampassato – rapporto del disegno altezza 29.8 x larghezza 23.5 cm
Fodera (velo di calice): beige in tela cerata
Gallone: in oro filato e in lamina al telaio con raffigurazioni di tralci e grappoli d’uva in due misurazioni (cm 3,5 e cm 1,5), di restauro
Sul fondo in taffetas rosa ciclamino si svolgono nastri di pizzo con andamento a meandro contornati da non-ti-scordar-di-me e fiori bianchi dai petali dentellati e dalla corolla verde; tra le anse del nastro sono disposti bouquet di roselline azzurre e amaranto con anemoni azzurri e verdi chiaro.
Sicuramente questo paramento, anche se è di un eccentrico colore rosa ciclamino, era utilizzato durante le funzioni che richiedevano il colore liturgico rosso quindi per la festività della Pentecoste, di Tutti i Santi, e dell’Esaltazione della Croce, la Domenica delle Palme, il Venerdì Santo, per le celebrazioni dei Martiri, degli Apostoli e degli Evangelisti con alcune eccezioni. Si può facilmente presumere inoltre, che questa stoffa, come quella del parato precedente, appartenesse in origine ad un abito da signora, donato in seguito alla Parrocchia, come spesso accadeva, per realizzare un paramento liturgico. Il tessuto, nonostante presenti una gamma cromatica ridotta ed una tecnica di esecuzione semplice, riesce ad essere di notevole efficacia proponendo il classico motivo di nastri di pizzo paralleli con andamento verticale ondulato così in voga negli anni ’60-’70 del Settecento[17].
Il motivo a meandro, ottenuto con elementi decorativi tra i più vari, come pizzi (in questo caso), o racemi di fiori, o nastri, o boa di piume, ecc., inizia a prendere piede nella decorazione dei tessuti dopo la pubblicazione del pittore-incisore William Hogarth (Londra 1697-1764) intitolata Analisi della bellezza scritta col disegno di fissar le idee vaghe del gusto pubblicata a Londra nel 1753 e subito tradotta in tutte le principali lingue europee. In essa (dal cap. 7 al cap. 10) l’autore sottolineava come la linea ondeggiante e serpeggiante fosse la “linea della bellezza” che, con la sua “varietà regolata”, avrebbe dovuto contraddistinguere ogni opera artistica per dar loro movimento e vivacità[18]. Infinite sono le tipologie di decorazione a meandro che si trovano nei tessuti prodotti nel terzo quarto del Settecento ed anche il tessuto di Cengio ne è un chiaro esempio.
Difatti, dal fondo rosa ciclamino, si stagliano nastri bianchi dal profilo smerlato con maglie quadrangolari a scacchiera che si intrecciano con piccoli rametti di fiorellini, boccioli e foglie dai colori verde, amaranto e azzurro. Negli spazi vuoti, creati dal motivo serpeggiante del pizzo, si inseriscono piccoli mazzetti di roselline e anemoni, sempre della stessa gamma cromatica, alternati in verticale con orientamento opposto.
Per quanto riguarda la tecnica di tessitura ci troviamo difronte all’armatura di fondo più leggera, il taffetas, il cui motivo decorativo è stato creato con la tecnica detta a pelo strisciante.[19] I meandri infatti vengono prodotti grazie a diverse cromie di un ordito supplementare presente su tutta l’altezza della stoffa che non partecipa alla formazione del fondo, ma che appare sul diritto del tessuto solo per delineare il disegno. A rovescio si vede chiaramente come l’ordito di pelo è slegato dal tessuto e legato all’armatura da una trama supplementare arancione ogni 20 rosa.
Questa metodologia di tessitura se da un lato consentiva una semplificazione nell’esecuzione del tessuto, delineava però una certa rigidità del motivo causata dalla presenza del colore solamente in punti determinati e prevedibili.
La leggerezza del taffetas, se da un lato dona al paramento quella particolare consistenza lieve e frusciante, dall’altro lo rende molto fragile e facile alla consunzione, il nostro parato difatti presenta, in diversi punti e soprattutto nella parte inferiore, una forte consunzione, tale da compromettere la leggibilità del disegno stesso.
Anche in questo caso la manifattura, che denota una tecnica veloce e semplice, può essere ascritta all’ambito ligure-piemontese degli anni ’70 del Settecento.
[1] Copia d’Inventaro delle Supelletili della Parochiale del Cengio
[2] Libro dei conti 1751
[3] Libri dei conti anni 1762 – 1793-94-95
[4] Libro dei conti 1751
[5] Libri dei conti anni 1863-1865
[6] Cfr. Schoenholzer Nichols T. e Silvestri I. (a cura di), La Collezione Gandini: merletti ricami e galloni dal XV al XIX secolo, Modena, 2002
[7]Libri dei conti anni 1772-1858
[8] Libro dei conti anni 1762
[9] Libro dei conti 1793
[10] Cfr. Boccherini T. Marabelli P. Atlante di Storia del Tessuto, Firenze, 1995, p. 91
[11]Devoti D., L’arte del tessuto in Europa, Milano 1974, pp. 29-30 e schede n° 151 e 152
[12] Il modulo del disegno è il motivo ornamentale che si ripete lungo l’altezza (da cimosa a cimosa) e la lunghezza del tessuto.
[13] Il cannetillé e un tipo di armatura, solitamente utilizzata per il fondo, derivata dal cannellato semplice che produce effetti a coste rettangolari alternate in orizzontale generando un motivo a scacchiera.
[14] Il lampasso e un tessuto operato costituito da una trama di fondo (che può essere raso, taffetas o diagonale) sulla quale un ordito supplementare lega in diagonale o taffetas le trame supplementari lanciate e broccate.
[15] La trama liseré è un effetto che si ottiene slegando alcune trame di fondo per creare motivi decorativi tono su tono.
[16]Devoti D., Digilio D., Primerano D. (a cura di), Vesti liturgiche e frammenti tessili nella raccolta del Museo Diocesano Tridentino, Trento 1999, pp. 115-116, schede n° 64-65, pp. 126-127, schede n° 75-76
[17] Devoti D., Digilio D., Primerano D. (a cura di), Vesti liturgiche e frammenti tessili nella raccolta del Museo Diocesano Tridentino, Trento 1999, pp. 138-139 scheda n° 86, p. 150 scheda n° 97, pp. 154-156 schede n° 101-102-103-104.
Cataldi Gallo M., I tessuti delle Fieschine, Genova 2012, pp. 28-33 schede n° 7- 8 – 9.
[18] Hogarth W., Analisi della Bellezza, Studio Editoriale, Milano, 1989
[19] Cfr. Devoti D., Digilio D., Primerano D. (a cura di), Vesti liturgiche e frammenti tessili nella raccolta del Museo Diocesano Tridentino, Trento 1999, pp. 156 scheda n° 104.