La nostra guida per conoscere la vita e il martirio di san Sebastiano sarà Jacopo da Varagine, un domenicano diventato arcivescovo di Genova (Varagine è l’antico nome di Varazze), che scrisse la “Legenda Aurea” intorno al 1264. I suoi racconti furono per secoli i testi più consultati da ecclesiastici, devoti e pittori, che da queste vite di santi traevano lo spunto per le loro opere. Jacopo è infatti ricco di dettagli e riporta fatti che sono finiti nella leggenda di un determinato santo e non solo a causa del suo libro, ma proprio per gli affreschi che ne sono scaturiti e che in un’epoca, quella tra il 1300 e il 1400, in cui pochissimi sapevano leggere, hanno formato e arricchito la mente cristiana di un’Italia, ma direi di un’ Europa, che fonda le sue radici nel cristianesimo e nella fede in un solo Dio Altissimo. Jacopo da Varagine scriveva in latino, ma intorno al 1400 la sua opera fu tradotta in volgare e quindi in un italiano che è ora un po’ astruso per le nostre orecchie.
Lascio a Jacopo la parola: Sebastiano, uomo cristianissimo di origine Narbonese, cittadino di Milano, era molto caro agli imperatori Diocleziano e Massimiano, tanto da dargli il comando della prima schiera e di volerlo sempre davanti a loro. Egli portava i gradi militari solo per confortare le anime dei cristiani quando le vedeva venir meno nei tormenti. Quando dovevano essere decapitati Marcelliano e Marco, fratelli gemelli, per la fede di Cristo, sul luogo del supplizio si precipitò dapprima la madre e diceva: “Nuovo pianto è questo, nuova miseria nella quale la giovinezza dei figli si perde di volontà, e la miserevole vecchiezza del padre e della madre è costretta a vivere”. Ed ecco arrivare il padre e gridare al cielo: “Sono venuto ad accomiatarmi dai miei figli che spontaneamente vanno incontro alla morte, tanto che ciò che avevo predisposto per la mia sepoltura, io sventurato, devo spendere per la sepoltura dei miei figli. Venite meno piangendo, occhi miei, perché io non veda uccidere con la spada i miei figliuoli!”. Giunsero anche le mogli con i bambini e urlando dicevano: “Ahimè, come avete cuori di ferro, che voi spezzate i vostri parenti e rifiutate gli amici e cacciate le mogli e separate da voi i figli e , per spontanea volontà, vi mettete nelle mani dei giustizieri”. Allora Sebastiano, che sempre era presente, disse: “O fortissimi cavalieri di Cristo, non vogliate per le cattive lusinghe perdere la corona eterna”. E ai parenti disse: “Non abbiate timore; non se ne andranno da voi, ma vanno a prepararvi i posti celesti; perché dal principio del mondo, la vita ha ingannato coloro che credono in essa, viene meno a coloro che la aspettano e si fa beffe di coloro che pongono in essa la loro speranza. Questa vita ammonisce il ladro a rubare, l’iracondo a incrudelire, il giudice a ingannare. Essa è quella che comanda le battaglie, consiglia gli inganni, conforta l’ingiustizia. Dunque nell’amore del martirio accendiamo i nostri sentimenti, perché qui il diavolo crede di vincere e perde; egli quando prende, è preso; quando tiene, è tenuto; quando vince è vinto; quando tormenta, è tormentato; quando uccide, è morto; quando assalta, è deriso”. Intanto Zoe, la moglie del carceriere di Marcelliano e Marco, aveva perduto la voce. Si gettò ai piedi di Sebastiano e a cenni chiedeva perdono. Il santo disse: “Se io sono servo di Cristo, e se sono tutte vere quelle cose che questa donna ha udito dalla mia bocca e le ha credute, Colui apra le sue labbra come le aprì a Zaccaria”. Subito Zoe gridò: “Benedetto sia il sermone che è uscito dalla tua bocca e benedetti sono quelli che credono a tutto quello che tu hai detto; perché ho visto l’angelo che teneva il libro davanti a te, dove erano scritte tutte queste cose”. E il marito di Zoe, il carceriere, si gettò anch’egli ai piedi di Sebastiano e subito liberò i prigionieri. Tutti i presenti ricevettero il battesimo, anche il padre, la madre, le mogli e i figli di Marcelliano e Marco. Dopo tutti questi avvenimenti, il prefetto mandò a dire all’imperatore Diocleziano le cose che aveva fatto Sebastiano e l’imperatore chiamò a sé il santo e gli disse: “Io ti ho sempre considerato tra i maggiori del mio palazzo e tu mi hai sempre ingannato ed hai ingannato anche gli dei”. Ma Sebastiano rispose: “Per la tua salvezza ho sempre adorato Cristo e per la sicurezza dello stato ho sempre reso onore a Dio che è nel cielo”. Allora Diocleziano ordinò che fosse legato in mezzo a un campo e trafitto dalle frecce dei cavalieri. Essi lo riempirono di frecce da sembrare un riccio e credendolo morto se ne andarono. Ma Sebastiano non era morto e, liberato e curato dalle ferite, un giorno se ne stava alle porte del palazzo imperiale e quando giunse l’imperatore lo riprese duramente per il male che faceva ai cristiani. Allora Diocleziano disse: “Non è questo Sebastiano, il quale avevamo comandato che fosse trafitto di frecce?”. E il santo rispose: “Il Signore mi ha voluto risuscitare, perché ti possa riprendere per il male che fai ai servi di Cristo”. L’imperatore lo fece flagellare così duramente che l’anima se ne partì dal corpo e fece gettare il cadavere in una cloaca. Ma la notte dopo san Sebastiano comparve a santa Lucina e le rivelò dove fosse il suo corpo e le comandò che lo seppellisse accanto alle tombe di Pietro e Paolo; e così fu. Egli fu martirizzato intorno agli anni del Signore 187. Prima di proseguire conviene precisare una cosa. Come avevamo detto Jacopo da Varagine scrive intorno al 1264, quando non erano conosciuti molti dei documenti relativi ai fatti narrati. Per questo, se pur sono veri gli avvenimenti, così non si può dire degli anni precisi in cui avvennero. Per esempio san Sebastiano venne martirizzato nel III – IV secolo e non nel 187 riportato dalla “ Legenda Aurea “.
Le notizie storiche su san Sebastiano sono davvero poche, ma la diffusione del suo culto ha resistito nei millenni. Due sono i documenti più antichi: il calendario della Chiesa di Roma, la “Depositio martyrum” risalente al 354, che lo ricorda al 20 gennaio; e il “Commento al salmo 118” di sant’Ambrogio, dove dice che Sebastiano era di origine milanese e si era trasferito a Roma, ma non dà spiegazioni circa il motivo. Queste scarne tracce sono poi state ampliate dalla successiva “Passio”, scritta probabilmente nel V secolo dal monaco Arnobio il Giovane.
Facciamo una premessa storica. Nel 260 l’imperatore Galliano aveva abrogato gli editti persecutori contro i cristiani, ne seguì un lungo periodo di pace, in cui i cristiani, pur non essendo riconosciuti ufficialmente, erano però stimati, occupando alcuni di loro, importanti posizioni nell’amministrazione dell’impero. E in questo clima favorevole, la Chiesa si sviluppò enormemente anche nell’organizzazione; Diocleziano, che fu imperatore dal 284 al 305, desiderava portare avanti questa situazione pacifica, ma 18 anni dopo, su istigazione di Galerio, scatenò una delle persecuzioni più crudeli nell’impero. Sebastiano, che secondo san Ambrogio era nato e cresciuto a Milano, da padre di Narbona e da madre milanese, era stato educato nella fede cristiana. Si trasferì a Roma nel 270 e intraprese la carriera militare intorno al 283, fino a diventare tribuno della prima coorte della guardia imperiale a Roma, stimato per la sua lealtà e intelligenza dagli stessi imperatori Massimiano e Diocleziano, che non sospettavano fosse cristiano. Grazie alla sua funzione, poteva aiutare con discrezione i cristiani incarcerati, curare la sepoltura dei martiri e riuscire a convertire militari e nobili della corte, dove era stato introdotto da Castulo, domestico della famiglia imperiale, che poi morì martire. Da Jacopo da Varagine abbiamo appreso perché e come Sebastiano venne condannato: legato ad un palo in una zona del colle Palatino, fu colpito seminudo da tante frecce da sembrare un riccio; creduto morto dai soldati fu lasciato lì in pasto agli animali selvatici. Ma la nobile Irene, vedova del martire san Castulo, andò a recuperare il corpo per dargli sepoltura, secondo la pia usanza dei cristiani, i quali sfidavano il pericolo per fare ciò e spesso venivano sorpresi e arrestati anche loro. Irene però si accorse che il tribuno non era morto e trasportatolo nella sua casa sul Palatino, prese a curarlo. Miracolosamente Sebastiano guarì e, contro il consiglio di fuggire da Roma, egli, che cercava il martirio, decise di proclamare la sua fede davanti a Diocleziano mentre si recava al tempio eretto da Elagabolo per le funzioni in onore del Sole Invitto. Diocleziano ordinò che questa volta fosse condannato alla flagellazione; l’esecuzione avvenne nel 304 ca. nell’ippodromo del Palatino e il corpo fu gettato nella Cloaca Massima, affinché i cristiani non potessero recuperarlo. L’abbandono dei corpi dei martiri senza sepoltura, era inteso dai pagani come un castigo supremo, credendo così di poter trionfare su Dio e privare loro della possibilità di una resurrezione. La tradizione dice che il santo apparve in sogno alla matrona Lucina, indicandole il luogo dove era approdato il cadavere e ordinandole di seppellirlo nel cimitero “ad Catacumbas” della via Appia. Le catacombe, oggi dette di san Sebastiano, erano dette allora “Memoria Apostolorum”, perché dopo la proibizione dell’imperatore Valeriano del 257 di radunarsi e celebrare nei cosiddetti “cimiteri cristiani”, i fedeli raccolsero le reliquie degli Apostoli Pietro e Paolo dalle tombe del Vaticano e dell’Ostiense, trasferendoli sulla via Appia, in un cimitero considerato pagano. Sulla via Appia si costruì una basilica costantiniana, la “Basilica Apostolorum”, in memoria dei due apostoli. Fino a tutto il VI secolo, i pellegrini che vi si recavano attirati dalla “memoria” di san Pietro e san Paolo, visitavano in quel cimitero anche la tomba del martire Sebastiano, la cui figura era per questo diventata molto popolare. Quando nel 680 si attribuì alla sua intercessione, la fine di una grave pestilenza a Roma, il martire venne eletto taumaturgo contro le epidemie e la chiesa cominciò ad essere chiamata “Basilica Sancti Sebastiani”. Queste notizie, tratte dalla “Passio”, integrano il racconto di Jacopo da Varagine: altro non possiamo sapere.
La festa di San Sebastiano è il 20 gennaio. È considerato il terzo patrono di Roma, dopo i due apostoli Pietro e Paolo. Le sue reliquie, sistemate in una cripta sotto la basilica, furono divise durante il pontificato di papa Eugenio II (824-827), il quale ne mandò una parte alla chiesa di S. Medardo di Soissons il 13 ottobre 826; mentre il suo successore Gregorio IV (827-844) fece traslare il resto del corpo nell’oratorio di San Gregorio sul colle Vaticano e inserì il capo in un prezioso reliquiario, che papa Leone IV (847-855) trasferì poi nella Basilica dei Santi Quattro Coronati, dove tuttora è venerato. Gli altri resti di San Sebastiano rimasero nella Basilica Vaticana fino al 1218 quando papa Onorio III concesse ai monaci cistercensi, custodi della Basilica di san Sebastiano, il ritorno delle reliquie risistemate nell’antica cripta; nel XVII secolo l’urna venne posta in una cappella della nuova chiesa, sotto la mensa dell’altare, dove si trova tuttora.
L’importanza di san Sebastiano si perde addietro nei secoli, quando spesso compariva un’epidemia di peste, flagello temuto e incurabile che svuotava i paesi e le borgate, le famiglie, i campi di lavoratori e lasciava dietro sé lutto, miseria, carestia. Ecco che allora ci si rivolgeva con preghiere e novene ai santi protettori, si innalzavano piloni con l’immagine dei santi, si affrescavano le pareti delle chiese con la loro immagine salvifica. Essi erano s. Rocco e s. Sebastiano; e poiché per molti secoli anche le nostre terre furono preda di ricorrenti epidemie di peste, noi oggi ritroviamo un po’ dovunque le loro immagini, tanto che quando ne incontriamo una possiamo sicuramente dire che di lì passò la “ morte nera “, la peste. San Sebastiano è modello per l’affermazione coraggiosa della fede e, per il suo supplizio, è patrono di arcieri e archibugieri, fabbricanti di aghi e mercanti di ferro. E’ patrono di Pest a Budapest e dei Giovani dell’Azione Cattolica.
Nell’arte antica san Sebastiano fu variamente raffigurato come anziano, uomo maturo con barba e senza barba, vestito da soldato romano o con lunghe vesti proprie di un uomo del Medioevo. Dal Rinascimento in poi diventò nell’arte l’equivalente degli dei ed eroi greci, celebrati per la loro bellezza come Adone o Apollo; poi, ispirandosi ad una leggenda dell’ VIII secolo secondo la quale il martire sarebbe apparso in sogno al vescovo di Laon nelle sembianze di un efebo, pittori e scultori incominciarono a raffigurarlo come un bellissimo giovane nudo, legato ad un albero o a una colonna e trafitto dalle frecce. Il soggetto si prestava ad una libera interpretazione del primo martirio delle frecce (non si teneva conto che fosse poi morto con il flagello), e secondo l’estro dell’artista per un compiaciuto virtuosismo anatomico, applicato ad un soggetto religioso. Anche Michelangelo nel “Giudizio Universale”, lo immaginò nudo e possente come un Ercole mentre stringe in pugno un fascio di frecce, interpretazione guerriera del mite santo, beato nella comunione del Signore. Innumerevoli sono le opere d’arte che lo raffigurano e quasi tutti gli artisti si cimentarono nell’opera; anzi, la semplicità del soggetto, uomo nudo legato ad una colonna, fu congeniale specie agli scultori. Ancora vivente, il papa lo denominò “difensore della Chiesa”, e celeste patrono; capolavoro di questo tema è l’affresco di Benozzo Gozzoli nella chiesa di s. Agostino di San Gimignano (1465), dove san Sebastiano, come l’iconografia della “Madonna di Misericordia”, accoglie gli abitanti della città sotto il suo mantello, sorretto da angeli e contro il quale si spezzano le frecce scagliate dal cielo da Dio. Il pittore del ‘500, Sebastiano del Piombo, lo ha rappresentato su di un’anta d’organo a Venezia; a Firenze nel 1300 Giovanni del Biondo ha dipinto un trittico con al centro il martirio di san Sebastiano e nelle ante laterali scene della sua vita ispirate proprio alla narrazione di Jacopo da Varagine; ma anche Botticelli e tanti altri grandi artisti italiani e stranieri ne hanno fatto oggetto di loro opere. È anche da ricordare quanto spesso venne raffigurato, insieme ad altri santi e in particolare a san Giovanni Battista, nei gruppi che circondano il trono della Madonna in quei polittici che prendono il nome di “Sacre Conversazioni”. Suo unico attributo sono le frecce, che si infiggono nel suo corpo quando è rappresentato nel momento del martirio o tenute in mano quando è raffigurato in abiti per lo più da nobile cavaliere.
Nell’arte cuneese San Sebastiano, quale protettore contro la peste, fu molto raffigurato nel ‘400 e molte cappelle e pievi sono a lui titolate. Si può dire che non esista ciclo pittorico della nostra zona senza una sua immagine.
A Castellino Tanaro, nella cappella di S. Rocco, San Sebastiano è raffigurato ben tre volte, ma i pittori sono diversi. Sulla parete sinistra appare vestito d’un abito damascato e con in mano un’unica freccia a simbolo del suo martirio. Gli altri due sono raffigurati nel momento del martirio ed è qui che notiamo mani diverse di frescanti. Sulla parete centrale, a parte la nicchia dalla forma perfetta sottolineata da una fascia ornamentale che corre all’altezza dell’impostazione della semisfera, anche la figura del santo, legato all’albero e trafitto dalle frecce, presenta uno studio anatomico non indifferente, che ha fatto del suo corpo l’esile raffigurazione del martire beato della sua sorte. Compare anche il gusto dei particolari: ad un chiodo della parete pende la faretra abbandonata dai carnefici. Questo affresco preannuncia un soffio di Rinascimento nella pacatezza della posa e nella collocazione architettonica. Sulla parte destra, invece, il martirio di san Sebastiano ha ancora tutti i caratteri dell’arte gotica con quel guizzo nell’impostazione ad “esse” della figura.
Ma ci sono sue rappresentazioni anche a Sale San Giovanni, nella cappella di Sant’Anastasia; a Castellar, nella cappella di San Ponzio; a Prunetto, nel Santuario Madonna del Carmine; a Priola, nella chiesa di San Bernardo; a Pamparato, nella chiesa di San Bernardo; a Torre Mondovì, nella cappella di S. Elena; a San Michele Mondovì, nella cappella di San Sebastiano e in quella di San Bernardino; a Roccaforte Mondovì, nel Cascinale dei Frati, in località Bertini; a Niella Tanaro, nella Confraternita di Sant’Antonio; a Lesegno, nella chiesa di Santa Maria del Luchinetto (1572); a Bastia, nella cappella di San Fiorenzo; a Breolungi, nella chiesa di Santa Maria in Bredolo; a Trinità, nella chiesa di San Rocco; a Piozzo, nella cappella di San Bernardo; a Farigliano, nella chiesa di San Nicola di Bari; a Fossano, nella sede della Cassa di Risparmio di Fossano, la cui fondazione ha avuto il merito di asportare gli affreschi da luoghi dove sarebbero andati perduti e nella cui ampia collezione vi è anche una bella testa di San Sebastiano proveniente dall’omonima cappella; a Busca, nella cappella di San Sebastiano, dove gli affreschi raffigurano l’intero ciclo della vita del santo, seguendo la narrazione di Jacopo da Varagine; a Saluzzo, nella Cattedrale, a sinistra dell’altare maggiore, nella cappella del Sacramento dove è possibile ammirare il polittico di Hans Clemer, il noto Maestro d’Elva, dove San Sebastiano è legato alla colonna, trafitto da frecce ed ha una bella posa plastica (intorno al primo decennio del XVI secolo); a Revello, nella parrocchia dell’Assunta, dove san Sebastiano compare nel polittico della Trinità, opera di Oddone Pascale (1541); a Bagnolo Piemonte, nella cappelletta del Castello Malingri, dove due sono le raffigurazioni del santo, di cui una si trova nell’abside.